
Thoreau è stato a lungo tra gli autori americani più trascurati in Italia. Il primo saggio a lui dedicato appare solo cinquant’anni dopo la sua morte: uno studio forse non eccelso, ma senz’altro onesto e amoroso, pubblicato a Bari da un oscuro letterato di provincia. Sono i primi anni Dieci del Novecento e nessun testo di Thoreau è disponibile in italiano. Bisognerà aspettare il 1920 per la traduzione di Walden, la sua opera maggiore. È in questo frattempo che escono i preziosi scritti di Eva Kühn e Anna Benedetti, le prime donne in Italia a parlare di Thoreau. Due testi tanto dissimili quanto originali, sorgivi, eleganti, accurati. Apparsi su autorevoli riviste nel 1914 e nel 1919, solo oggi rivedono la luce. Eva Kühn, letterata futurista, stimata traduttrice dal russo e moglie di Giovanni Amendola, sceglie senza indugi la via dell’intimità per raccontare Thoreau e la sua religione naturale, il suo culto per l’indipendenza e la sua sete di purezza. Col piglio dell’anglista erudita, Anna Benedetti segue invece le orme del solitario di Walden mettendone a nudo l’anima poetica e risalendo il corso dei suoi pensieri fino alle sorgenti della filosofia trascendentalista. Arricchiscono il volume le pagine di una loro illustre contemporanea, Virginia Woolf, che nel 1917 dedica a Thoreau un limpido e caloroso tributo per il centenario della nascita.